Traduzione (di Alessandro Grilli) con qualche adattamento (Pistetero “amico fidato” che diventa Pisetero): ma si sa che in teatro il dominus è l’autore dell’allestimento. Costumi (di Roberto Crea) assai belli e richiami continui alla situazione attuale (gli immigrati clandestini, le tasse, i politicanti) che ovviamente sono contemporanei a tutti i secoli. Gli Uccelli aristofaneschi proposti ieri sera al Teatro antico per il XLVIII ciclo dell’Inda, hanno divertito il numeroso pubblico: è una continua miniera di invenzioni, di trovate, di satira paradossale sulle malizie dei politici (di 25 secoli addietro) che si adattano benissimo a quelli attuali, sopsesa tra l’opera buffa delle maschere italiane e il surreale del Novecento europeo. La regia di Roberta Torre è intelligente, divertente, estrosa, imprevedibile. Mette da parte le pretese filologiche, scherza su Mozart ( le musiche sono curate da Enrico Melozzi), scherza con il pubblico: le coriste avicole si spingono dentro la cavea con continue moine.
In questa galleria di invenzioni continue è impossibile redigere una graduatoria di bravura: tutti gli interpreti, dai protagonisti (Sergio Mancinelli, Mauro Avogadro e Rocco Castrocielo), alla corifea (Simonetta Cartia) e a tutti i coristi, hanno una presenza di spirito che raramente si vede sulle scene: un colpo di vento fa periclitare certe strutture sceniche: il pubblico si guarda attorno attonito: ma quelli, coristi e attori, come se fosse tutto previsto, si mettono a scorazzare verso quelle strutture, le afferrano con frizzi e lazzi e sistemano la scena, suscitano appalusi calorosi e fanno capire cosa sia il buonumore: prendere la vita con allegria. C’era una complicità tra spettatori e attori, tutti impegnati a satireggiare sui letterati, gli intellettuali, i tecnici delle tasse, i sempliciotti della finanza…Per avere una idea di quel che succede, immaginate che i coristi vanno a visitare il pubblico: fanno fotografie (vere o false?), con qualcuno, insomma mescolano presente e copione e fanno il teatro vero. Azione attuale e mai finzione congelata nelle pagine. Per questo il lettore benevolo non si aspetti l’elenco completo di tutti gli artisti: (decine) che sono tutti bravissimi, divertenti, estrosi…e garbati. Del turpiloquio, tipico della commedia antica, si è conservato pochissimo oltre il “vaffa” insostituibile per gratificare gli impostori di tutte le risme di tutti i tempi. Lo spettacolo è esilarante, intelligente e va visto, non seguito da una descrizione. Soprattutto bisogna andarlo a guardare con intelligenza complice: è il gioco per tutti. Le feste dionisiache erano il momento in cui si educava lo spirito popolare che fu la base dell’alta civiltà classica… Non si creda che il teatro comico fosse una sottocategoria della tragedia: certamente fu il fondamento delle scene. Gli applausi calorosissimi non bastano: bisogna moltiplicare queste occasioni di incontro del pubblico con i geni della cultura occidentale.
Sergio Sciacca
La Sicilia martedì 15 maggio 2012