Presentazione
Dal 2011 la prestigiosa rivista ha rinnovato il proprio assetto sotto la direzione di Guido Paduano.
Nel 2014 è uscito il III numero della nuova serie.
Dall’editoriale del numero 1 nuova serie del direttore Guido Paduano
“Ciò di cui ci occupiamo, il teatro antico, è prima di tutto un ossimoro. Non si dà infatti teatro che non sia presente e vivente nell’esperienza delle rappresentazioni, grazie allo statuto peculiare dell’unica forma d’arte che comporta la compresenza spazio-temporale di produzione e fruizione. La sua struttura fondante, il tempo drammatico, viene a coincidere insieme col tempo biotico degli attori e con quello degli spettatori, la cui identificazione emotiva risulta quantitavamente e qualitativamente potenziata rispetto a qualunque altro veicolo estetico. Chi studia il teatro dovrebbe sempre ricordare – soprattutto dovremmo ricordarlo noi filologi classici che per le nostre consuetudini culturali siamo sempre tentati di limitarci al fenomeno linguistico-letterario – la sua natura di ircocervo, sintesi di un fattore preesistente e stabile nel tempo (il copione) e di un fattore variabile, la messinscena, dove con la creatività originaria dell’autore del copione si incontra volta a volta, in diverse situazioni storiche, quella altrettanta marcata dei registi (sovraordinata, ma non esclusiva di quella di attori, scenografi ecc.). Mentre non trovo inadeguato il termine copione anche per i testi venerandi della nostra cultura, per Antigone o per Amleto, tengo però a rimarcare che dalla mutua imprescindibilità dei due fattori non discende che per la fruizione del teatro sia necessario recarsi fisicamente a teatro. Discende piuttosto che la lettura corretta di un copione è quella che ne assume le parole nella prospettiva specifica ed esclusiva di una messinscena virtuale, di un teatro della mente qual è quello che Aristotele (spesso e a torto accusato di testocentrismo) attribuisce come obbligatorio al poeta in Poetica 1455 a 21-28: Bisogna comporre le trame e fornirle di dizione tenendole il più possibile davanti agli occhi. In questo modo, vedendo con la massima chiarezza come se ci si trovasse in mezzo alle azioni medesime si può trovare ciò che è conveniente e sfuggiranno meno le contraddizioni. Prova di questo è l’accusa mossa a Carcino. Anfiarao tornava dal tempio, cosa che a non vederlo sfuggiva, ma sulla scena non ebbe successo perché ciò infastidì gli spettatori. Occorre solo aggiungere, come peculiarità del teatro antico, che in esso manca quel canale sussidiario alla transizione fra copione e messinscena che prende il nome di didascalia, e nei teatri successivi assume grande importanza, non fosse altro che nell’essere eluso o trasgredito. La collocazione scenografica, la gestualità, i messaggi iconici e prossemici vengono tutti riassorbiti nella parola recitata (o anche cantata). In linea generale la transizione suddetta non può essere codificata, giacché proprio in essa si esercita la creatività del regista; è però a mio parere importante stabilire che il suo ambito non è infinito ma al contrario delimitato da due principi, uno dei quali rappresenta l’applicazione specifica dell’altro. Il principio generale è che il rapporto fra due qualunque realtà si dà solo a patto che entrambe abbiano in esso una presenza efficace (altrimenti l’una sarebbe utilizzata come mero pretesto dell’altra, e sarebbe ad libitum sostituibile); il principio specifico ha come punto di partenza il fatto che anche nella sua autonomia la messinscena non cessa di essere in qualche modo una interpretazione del testo. Ma l’ermeneutica è una scienza a patto che i suoi dati siano falsificabili, che cioè si possano concepire interpretazioni impossibili o sbagliate (e dunque anche regie impossibili e sbagliate […]. Il giudizio nei confronti del protagonista di una tragedia è forse il dato testuale che più esige rispetto, se si pensa che esso funge da asse regolativo del conflitto che sta al centro della vicenda drammatica e la definisce”.
Guido Paduano, direttore di Dioniso, rivista della Fondazione Inda
ISSN 1824-0240