“L’Aiace […] è un rito estetico ed emotivo pieno di immagini indimenticabili. L’impianto scenico di Jordi Garcés e i costumi superlativi di Silvia Aymonino, uniti ai movimenti scenici di Vasily Lukianenko, offrono a Salvo la possibilità di organizzare una rappresentazione visionaria, spiata, dietro la porta del tempo, da occhi innamorati dell’Ellade. […] Belle le entrate di Teucro (Giacinto Palmarini, efficacissimo), degli Atridi (il Menelao di Mauro Avogadro e l’Agamennone di Francesco Biscione), di Ulisse (Antonio Zanoletti). Straziante, nell’impeto allucinato con il quale lavora, l’Aiace di Maurizio Donadoni. Infine Elisabetta Pozzi presta la sua bravura, qui fatalista e assorta, alla povera Tecmessa.
Diversi il piglio della Fedra di Rifici. Se Afrodite brilla della bellezza statuaria di Ilaria Genatiempo, Artemide si affida all’algido carisma di alessia Giangiuliani. Massimo Nicolini fa un Ippolito concentrato e stupito; Maurizio Donadoni è autorevole Teseo; Emiliano Masala dà nerbo al messaggero; Guia Jelo alimenta di giusta malizia il ruolo della Nutrice”.
Rita Sala, Il Messaggero
“È il suicidio di una donna che insanguina […] l‘Ippolito di Euripide che qui, nella nuova traduzione di Edoardo Sanguineti […] ha cambiato il titolo, divenendo Fedra […]. In questo intrigo di viscide figure, equivoci ad incastro, umani furori e divine perfidie, la regia di Carmelo Rifici ha intessuto uno spettacolo di forte vibrazione sentimentale secondo un equilibrio tra classicità di una tradizione intramontabile e la ricerca del nuovo […]. Per quanto a noi gente d’oggi possano apparire banale il motivo del furore di Aiace e sproporzionata la sua ira, nella follia prima e nella morte dopo, egli assurge a simbolo di rivolta all’arroganza dei potenti. Umana e politica tragedia, sublime poema letterario: che la regia di Daniele Salvo ha ricreato in una rappresentazione di esemplare spettacolarità”.
Carlo Maria Pensa, Libero
“La regia di Daniele Salvo opera in pieno rispetto del testo diligentemente tradotto da Guido Paduano e sfrutta bene l’immenso spazio scenico nel quale lo scenografo Jordi Garcés presenta un’ansa di mare che personaggi e coro a più riprese attraversano in gioco coreografico di grande spettacolarità. In Fedra l’infelice regina diventa una delle figure più grandiose della letteratura greca. Con buon risultato, muovendosi tra schemi classicheggianti e apertura al moderno ad allestire è toccato a Carmelo Rifici. E bene a svolgere il loro compito gli attori, costretti a cimentarsi con la sapiente, meditatissima ma irta di difficoltà traduzione di Edoardo Sanguineti. Nuova, colorata di nobile sintassi, e tra le cose più discusse di questo XLVI Ciclo di Rappresentazioni Classiche”.
Domenico Rigotti, Avvenire
“La poesia ritorna al teatro. Edoardo Sanguineti ha dato la parola ad Euripide, con una traduzione dell’Ippolito che ritrova la misura della parola poetica antica […]. La tragedia che ieri ha debuttato al teatro di Siracusa è classica e moderna sia per linguaggio che per impostazione dell’azione voluta da Carmelo Rifici. La recitazione passa dal tono artificioso alla passione sentimentale. È un continuo trasferimento: antiverista a tratti e altrove aspro.[…]Elisabetta Pozzi vibra di una forza selvaggia, che giunge all’apice della passione quando confessa l’indicibile amore. Di contro al pathos bacchico, il mathos (la temperata sapienza) di Ippolito viene gridato da massimo Nicolini con una forza non meno impetuosa.
Sergio Sciacca, La Sicilia
“Daniele Salvo […] fonde con mano sapiente diversi linguaggi espressivi giocando sui codici cinematografici al servizio di un pieno coinvolgimento dello spettatore […]. La messinscena, com’è giusto che sia, trova la sua forza nella parola. Quindi nell’attore. Ed è una vera furia l’Aiace di Maurizio Donadoni, possente, vocalmente e fisicamente, nella rabbia della follia, che trova toni dimessi nell’attimo dello sgomento e del rinsavimento”.
Giuseppe Distefano, Il Sole 24 ore
“Quest’anno […] doppio duello artistico, che interpreti principali affrontano con se stessi: la bravissima Elisabetta Pozzi, infatti, una sera è Fedra, la sera appresso interpreta l’impegnativo personaggio di Tecmessa. Maurizio Donadoni alterna, invece, il ruolo del re guerriero Aiace a quello del padre Teseo nella tragedia di Euripide. Fedra […] deve molto del suo fascino alla notevole e nuova traduzione firmata da Edoardo Sanguineti, che a furia di gerundi e di inconsuete costruzioni della frase, crea una musicalità affascinante […]. Il regista Carmelo Rifici […] dà enfasi e calore al dramma. La platea […]ha festeggiato gli attori fra i quali si sono distinti Massimo Nicolini (Ippolito), Ilaria Genatiempo (Afrodite) e Guia Jelo”.
Maurizio Giammusso, ANSA
“Rifici ricava rimandi precristiani, forzati dai costumi di Baldoni. Il realismo di Salvo smargina nel kolossal con acqua e fuoco, ma piace, assecondato dai costumi gladiatorii di Aymonino. Il tragico al femminile è Elisabetta Pozzi: ubriaca d’amore, amore di donna ferita in entrambe le tragedie, con misura nuova in Fedra. E, infine, le traduzioni: piombo arcaico nel ritmo e neologismi in quella dello scomparso Sanguineti; parole-pensiero in Paduano. Gran successo di pubblico”.
Claudia Provvedini, Corriere della Sera
“La regia di Daniele Salvo trascina su vette da delirio rabbioso, caricando i toni e squartando d’improvviso la tenda dell’eroe per mostrare la sua strage di pecore. Uno sterminio provocato da Atena (una Ilaria Genatiempo con modulazioni da thriller) e che la Tecmessa di Elisabetta Pozzi rivive in un saliscendi emotivo da grand’attrice, impennandosi fino ai confini dell’epilessia per poi sprofondare nel pianto. Il fratello di Aiace, Teucro (un convincente Giacinto Palmarini), vince la disputa sulla sepoltura con il tronfio Agamennone di Francesco Biscione e il grottesco Menelao di Mauro Avogadro. […] Applausi per tutti. Dalla follia di Aiace all’eros malsano che avvelena “Fedra”, la tragedia di Euripide che completa il ciclo. La regia di Carmelo Rifici sviluppa il tema del derby tra religioni che oppone il desiderio all’astinenza. Gli attori sono due volte bravi nel loro confronto con la spigolosa traduzione di Edoardo Sanguineti”.
Mario Di Caro, Repubblica
“Nell’enorme spazio del teatro siracusano, il regista Daniele Salvo e lo scenografo Jordi Garcés non lesinano mezzi ed effetti da grande melo guerresco per Aiace: uno specchio d’acqua (mare, fiume, fonte sacra) fronteggia la tenda di Aiace, grande cubo nero, casa degli orrori e dei lamenti. […] La parte “corale”, fondamentale nel dramma greco, qui è svolta dai soldati di Aiace (elmi, scudi, lance in resta), fregio decorativo, vociante […] nella traduzione tutta prosastica degli antichi versi sofoclei, a cura di Guido Paduano”.
Pasquale Bellini, La Gazzetta del Mezzogiorno
“La “Parola” prima di tutto, in questa tragedia dove Fedra, malata suo malgrado di amore indotto e inutile, soccombe, soffre nel corpo e nell’anima, vinta dal desiderio. Sono pietre le parole di Sanguineti, pietre che gli attori si scagliano l’uno contro l’altro nel disperato tentativo di spiegarsi, quasi giustificarsi di tanto amore e odio”.
Marilena Toscano, Giornale di Sicilia
“Odisseo […] convince gli Atridi dell’opportunità di una conciliazione: non bisogna spingere l’odio fino a calpestare la giustizia. A Siracusa proprio questo episodio da taluni considerato superfluo esalta la capacità così sofoclea di vedere tutti i lati della questione, fino al sublime finale in cui Teucro nega al pur benemerito Odisseo di partecipare alle esequie. Viva i registi che credono nei testi e mettono in prima linea l’obiettivo di farli recepire! E viva l’energia con cui gli ottimi interpreti, specie Giacinto Palmarini come Teucro, porgono la limpida traduzione di Guido Paduano. Se dopo due ore il pubblico ha ancora le orecchie bene aperte si deve beninteso anche al brio con cui l’allestimento è stato movimentato, dall’arrivo attraverso una palude degli stanchi guerrieri di Aiace con corazze e scudi bruniti disegnati dalla costumista Silvia Aymonino e vari colpi di scena”.
Masolino D’Amico, La Stampa
“Fedra interpretata da una splendida Elisabetta Pozzi […].Un meritato plauso va alle costumiste Silvia Aymonino e Margherita Baldoni che insieme alla sartoria della Fondazione INDA hanno confezionato meravigliosi abiti di scena. Durante le repliche è stato reso un commosso omaggio al grande poeta recentemente scomparso, Edoardo Sanguineti”.
Massimiliano Torricelli, Il Resto del Carlino
“Maurizio Donadoni[…] ha saputo cogliere le trasformazioni continue della “malattia” di Aiace.[…] È pazzo quando uccide gli armenti pensando che siano i principi greci; è un uomo distrutto dalla vergogna quando si risveglia dal delirio in cui lo ha fatto precipitare Atena; è un uomo appassionato e tenero quando mette al rimo posto gli affetti”.
Lino Di Tommaso, Gazzetta del Sud
“Fedra sconta su di sé una passione non consumata. […] Ha ragione, Carmelo Rifici […], quando parla di “disperazione psicosomatica”, e conquista, come sempre, Elisabetta Pozzi con la sua adesione a tutto tondo, anima e corpo, e quella voce che da sola basta a evocare qualunque emozione. Accanto a lei, e molto giusta nel ruolo del “doppio” di nutrice devota e femmina infida, una brava Guia Jelo, il Teseo furioso, sanguigno, irrazionale e irragionevole reso dall’irruente Donadoni, […] L’Ippolito di Massimo Nicolini, che decolla sorprendentemente nella seconda parte, nel fronte a fronte con l’ira del padre”.
Alessandra Bernocco, Europa
“In questo scenario suggestivamente aperto e antico, da assemblea cittadina più che da platea, ci è capitato di assistere alle due ore dell’Aiace […]. Indimenticabili, i campi lunghi coi guerrieri zuppi fino al midollo, sconcertati accanto a lui guerriero delirante, ridotto a una furia nella tempesta […]Regia di Daniele Salvo solida di movimenti, di effetti. […]
Più formale, più “petrosa” anche nella traduzione dello scomparso Edoardo Sanguineti (con intatta costruzione greca), la Fedra che è poi il secondo Ippolito di Euripide: una macchina di eros e follia che contagia la moglie di Teseo (una travagliata Elisabetta Pozzi)”.
Rodolfo Di Giammarco, Repubblica
“Elisabetta Pozzi […] modula […] con infinita grazia il ruolo di Tecmessa nell’Aiace condotto in porto con rara sensibilità da Daniele Salvo. Che, utilizzato con maestria l’impianto scenico di Jordi Garcés, ha ricondotto con mano esperta il dramma di quell’eroe anomalo, dagli Achei ignobilmente sfruttato come pura forza motrice, al ruolo di vittima sacrificale. Grazie all’intensa prova di Maurizio Donadoni che gli ha regalato un tono tra smarrito e delirante venato dal raccapriccio in attesa della morte liberatrice che mai in passato gli era stato conferito”.
Enrico Groppali, Il Giornale
“En Sicilia, en el teatro griego de Siracusa, Jordi Garcés […] ha pavimentado de madera de pino, sin más tratamiento que el ignífugo, el escenario y ha hecho brotar de él prismas de lamas de ese material para levantar una escenografía rotunda y callada en la que se representan el Ayax de Sófocles y la Fedra de Eurípides. Como sucede con las ruinas que forman hoy el teatro, Garcés permitió -de hecho fomentó- que el lugar -las piedras y hasta la vegetación- se apropiara también de su intervención, abstracta y limpia. El arquitecto catalán, que ha trabajado con las proyectistas italianas Daria de Seta y Emanuela Reale, cree en la condición sagrada, y por tanto intocable, de las ruinas. Describe incluso su intervención como un “elogio de la ruina”, por eso él se ha acercado a las antiguas gradas desde un material noble – “puro, inmutable”, señala – como la madera para dejar su huella moderna, rectilínea y silenciosa que, lejos de molestar, suma a las piedras griegas una capa imprecisa, pero no neutra, y atemporal”.
Anatxu Zabalbeascoa, El País
“Jordi Garcés es el autor de la scenografia del XLVI Ciclo de Espetáculo Clásico que se celebra en el teatro griego de Siracusa. El arquitecto barcelonés, autor entre otra sobras del Museu Picasso, ha optado en el histórico teatro de la ciutad siciliana por una scenografia minimalista, hecha con madera, agua y luz. […] Según Garcés, su scenografia pretende contribuir a definir un lugar intemporal en que los directores de las tragedias puedan expresar su proprio pensamento teatral”.
L. Moix, La Vanguardia