Medea - Lars von Trier
In questo intervento mi occuperò di una Medea cinematografica che va in controtendenza rispetto alla linea dominante delle riletture novecentesche, focalizzate sugli aspetti etnici, politici, antropologici del mito: su quel conflitto fra culture su cui Pasolini ha costruito l’intero suo film. La Medea di Lars von Trier mira invece a un’assolutizzazione metafisica, mettendo in secondo piano la barbarie di Medea, come anche il suo conflitto interiore. Ma vediamo prima la sua genesi complessa.
Tutti sanno che Carl Theodor Dreyer è stato uno dei maestri ispiratori del cinema pasoliniano; pochi sanno però che anche il grande regista danese si era rivolto al mito di Medea, giungendo nel 1965 a scrivere una sceneggiatura (in collaborazione con Preben Thomsen) e a contattare Maria Callas (si spiega così che una copia dattiloscritta della sceneggiatura dreyeriana si trovi fra le carte di Pasolini). Il progetto fallì a causa dello scarso interesse mostrato dai produttori: la sceneggiatura rappresenta quindi l’ultima opera di Dreyer, che morì tre anni dopo. Come accennavo prima, la sceneggiatura non è mai stata girata per motivi di produzione; ha avuto però una realizzazione molto peculiare e molto affascinante (a mio parere la più bella Medea sullo schermo, una delle più belle del Novecento…) da parte di un altro geniale regista danese, Lars von Trier. (…)
Anche quando è più chiaro l’influsso del Maestro danese, come nella scena dei dignitari corinzi, in cui i primissimi piani dei volti richiamano alla mente i giudici di Giovanna d’Arco, si nota sempre una differenza sostanziale: come nota Margherita Rubino, von Trier non cerca idealità politiche, resta invece fedele alla sua poetica di «interpretare il mondo come un inferno». Dreyeriana è comunque le recitazione scarna, spesso sussurrata, e la preferenza per i primi piani di volti espressivi, inquadrati obliquamente dal basso: quasi a citare le tecniche del muto.
Dreyer avrebbe voluto fare le riprese in Grecia; il film ha invece un’ambientazione nordica e spettrale, in una serie di pianure desertiche, paludi e acquitrini, ripresi in frequenti campi totali e in panoramiche dall’alto. Si ritrova quella fascinazione per un paesaggio indistinto e infinito, quel gusto per spazi come isole e deserti che caratterizza tanto cinema di ricerca….