Il procuratore Pietro Grasso è un appassionato di teatro. Dopo quest’inverno all’Eliseo ci rincontriamo uscendo dal Teatro Greco, spettatori di Uccelli allestito da Roberta Torre. A Grasso lo spettacolo è piaciuto ma dice di preferire alle commedie le tragedie: c’è una maggiore possibilità di pathos. In quanto al pathos, la commedia di Aristofane ne avrebbe tra le pieghe o, come scrive il suo eccellente traduttore Alessandro Grilli, nell’implicito.
A parte l’implicito che si riferisce alla trasposizione da una lingua antica a una contemporanea, cruciale è quanto affiora dallo spettacolo. Il paradigma di Roberta Torre è Uccellacci Uccellini di Pasolini. I protagonisti della commedia, Pisetero e Evelpide, per lei sono, un poco, Totò e Ninetto (Davoli), cioè simile è il rapporto che li unisce. Uno è il maestro e l’altro è l’allievo, almeno finchè Evelpide si comporterà bene, sarà ubbidiente. Poi, di colpo, viene scacciato. Fino a quel momento i due vegliardi, in realtà due lazzaroni, avevano abbandonato Atene in cerca di un luogo migliore. Ma migliore per cosa? La Torre, da utopista dolce e morbida qual è, parla di di Nubicuculia, la città che essi fonderanno con gli uccelli tutti, come d’un non luogo, come di un’utopia. E’ la falsariga interpretativa di Schlegel: rifiuto della politica, la poesia al potere.
Per Grilli Uccelli presenta uno dei due schemi classici della commedia: non la commedia romantica, ma la commedia comica, anzi eroicomica. La storia sacra, mutata in uno dei suoi elementi strutturali, è ora storia profana: il protagonista, benchè ridicolo, diventa una specie di eroe, prende il posto degli dèi. Pisetero si allea con gli uccelli, fonda la sua città, intercetta i sacrifici che gli uomini fanno per Zeus; e con la mediazione di Prometeo gli dèi stipulano un accordo con il nuovo re, anzi il nuovo tiranno. Zeus gli offre in moglie Regina e in cambio avrà, come cibo, le carni arrostite degli uccelli dissidenti.
Questo schema suggestivo rientra, mi sembra, nella tradizione dell’Aristofane sarcastico critico sociale e, ancor più radicalmente, moralista, fustigatore dei vizi umani. C’è una scena nella commedia, che nello spettacolo è stata tagliata, in cui le decisioni di Pisetero sono esplicitamente messe a nudo come ipocrite. Quando, tra gli ateniesi che vogliono con lui arruolarsi, gli compare davanti un uomo che brama uccidere il padre (cioè gli ideali), il neo tiranno lo invita a desistere ma lo arruola nel suo esercito e lo spedisce ad uccidere il nemico in Tracia. Ebbene, questo aspetto subdolo o truculento nello spettacolo di Roberta Torre non compare mai; non è, direi, nel suo carattere, nel suo stile. Senza arrivare sino a Schlegel (a un qualche romaticismo), la sua fantasia al potere, come le si conviene e come ho accennato, resta fantastica, trascolorante. Si avvale in modo suggestivo dello spazio a disposizione: tutta la cavea è chiusa da un’impalcatura aerea, vi si pattina da destra a sinistra, da sinistra a destra, noi spettatori siamo circondati da uccelli, viviamo tra loro. Laggiù vi sono una decina di rossi alberi stilizzati; fischi, trilli e cinguettii ci accompagnano e ci assordano; gli sgargianti costumi di Roberto Crea e le ironiche musiche di Enrico Melozzi rendono risonante e di fatto festoso uno spettacolo che il pathos perfino lo rifugge.
Uccelli è uno spettacolo in ogni senso felice nel quale vanno sottolineate le prove dei protagonisti Mauro Avogadro e Sergio Mancinelli, dell’Upupa Rocco Castrocielo e di Valentina Rubino (per il suo strabiliante falsetto), che è Iride.
Franco Cordelli, Correiere della Sera
domenica 17 giugno 2012