Punito da Zeus per avere promosso l’emancipazione degli umani donando loro il fuoco, il titano Prometeo viene incatenato a una roccia dove dovrà soffrire in eterno. Anni addietro, sempre qui al Teatro Greco, Ronconi collocò Franco Branciaroli in cima a una rupe immobile; oggi il regista Claudio Longhi fa spostare qua e là un traliccio metallico con sopra il gagliardo Massimo Popolizio ritto a braccia allargate, quasi un Cristo alle stazioni della croce. Questo più le evoluzioni della Martha Graham Company agevola, intrattenendo, l’ascolto dell’impervia tragedia di Eschilo, che consiste nei contrasti tra l’impenitente e alcuni visitatori sopraggiunti ad ascoltare i suoi sfoghi o portagliene di propri. Tra i primi c’è il dio Oceano (Mauro Avogadro) col coro delle sue figlie, le Oceanine; tra i secondi Io, fanciulla violata da Zeus poi trasformata in vacca (una energica Gaia Aprea con impressionante costume di Sbicca, copricapo vaccino, finte mammelle e zoccoli- zatteroni). Più familiare l’altra proposta, Baccanti di Euripide, per il quale gli olimpi più che imperscrutabili sono capricciosi e crudeli. La vicenda di Penteo – che essendosi rifiutato di riconoscere il culto del nuovo dio Dioniso, preoccupante per la licenza concessa alle donne, viene fatto a pezzi da queste guidate dalla propria madre – è occasione per sabba di danzatrici e coriste. Quelle dirette da Antonio Calenda sono sobrie ed eleganti. Maurizio Donadoni è un Dioniso fisicamente possente anche se non giovanissimo, la Aprea e Daniela Giovanetti due robuste presenze femminili, Massimo Nicolini un Penteo accecato dall’orgoglio ma da ultimo commovente.
Masolino D’Amico
La Stampa, lunedì 14 maggio 2012