
Christa Wolf con Heiner Müller e Günter de Bruyn – 1987. Foto Karin Gaa
Tre sono le componenti che fanno di Medea. Voci la rivisitazione più discussa della tragedia di Euripide negli anni ‘90. In primo luogo il fatto che si tratta di una Medea scritta da una donna, romanziera e polemista celebre come Christa Wolf: per un paradosso, non esistono precedenti di una qualche importanza nel corso di più di due millenni. In secondo luogo, siamo dinanzi ad una riappropriazione originale e creativa del mito. Terza e non ultima motivazione, il romanzo ha ottenuto immediatamente, a partire dall’anno in cui è comparso in circolazione, il 1996, fino ad oggi, una diffusione ed un successo di vendita non comune. A distanza di sette anni dalla caduta del muro di Berlino (1989), in Italia non si erano ancora aperti aspri dibattiti sugli intellettuali e
scrittori di regime nella Ddr, sulle posizioni da essi assunte prima e dopo l’inatteso avvenimento. A dare fuoco alla miccia fu la pubblicazione nel 1995, di sette interventi della Wolf tradotti ed éditi con il titolo Congedo dai fantasmi. Medea. Voci seguì a ruota e divenne subito un best seller. Non vi è dubbio che la fortuna del libro fu favorita dall’attesa ancor vivissima di qualsiasi forma di scrittura proveniente dalla ex Berlino Est; oltre che dall’impressione che dietro vi fosse una struttura a tesi, che si trattasse di pamphlet politico mascherato e non solo di un artistico ripensamento sulla tragedia antica. Sta di fatto che il pubblico di questa Medea è risultato più numeroso del previsto e il dibattito, oltre che tra gli addetti ai lavori, è dilagato tra i media con velocità, naturalmente, superiore alla norma. Sulla genesi del romanzo, Christa Wolf si è espressa più volte ribadendo che esso è nato da articoli filologici che citavano fonti diverse e precedenti Euripide, oltre che da sollecitazioni biografico politiche.
(…) Nella sostanza, Christa Wolf ha scritto ed agito come se Medea fosse una figura storica, maltrattata dalle fonti e da un tragediografo corrotto, e non la protagonista di un mito del quale esistono, come per qualsiasi mito, versioni secondarie e differenti.
Sulle fonti, la Wolf ha tenuto lezioni, scritto e parlato con molta sicurezza; quasi la propria riscrittura di Medea avesse ristabilito, finalmente, una verità occultata per millenni. Nella sostanza, l’operazione che la Wolf ha condotto per “ripulire” la figura di Medea con il supporto di versioni preeuripidee del mito offre argomenti per la discussione. Ma è ovvio che, come di un regista conta lo spettacolo, e non il libretto di sala, di uno scrittore conta l’opera, e non la serie di dichiarazioni premesse ed in seguito perfino pubblicate. Su altro versante: davvero la Wolf ignora che Medea è archetipo grazie a Medea? Che il personaggio esiste proprio perché è esistito quel dramma di Euripide? La certezza della scrittrice di avere messo in luce la verità probabilmente acquista senso se si considerano le condizioni in cui il romanzo fu stilato. Al momento della “svolta” dell’89, si è detto sopra, la Wolf assunse, come sempre, un ruolo consapevole; fu tra i pochi personaggi attivi, fino a diventare un punto di riferimento. Subito dopo emerse l’interrogativo sui suoi rapporti con la Stasi ed iniziò la campagna di diffamazione, tanto più malevola in quanto ignorava la documentazione che la assolveva. Gli attacchi non impedirono alla scrittrice di pubblicare articoli e brevi saggi, ma le causarono una depressione gravissima ed un silenzio creativo di circa sette anni. Al contempo, i problemi dell’integrazione tra cittadini dell’Est e dell’Ovest la ossessionavano, mentre alla mente le si ripresentava la figura di una Medea grande e perdente, in nessun luogo e in nessun modo mai integrata. In quei primi anni ‘90, ansie e scoramento si unirono al timore di venire accusata di invenzioni “a tesi” oppure gratuite rispetto all’archetipo greco antico. Da questo l’insistenza sulla “scientificità” di fonti da lei cercate e rintracciate dopo avere progettato la griglia del romanzo e il suo modello di Medea…
Il primo racconto al femminile ispirato alla lontana a Medea, Eine jadische Mutter, fu pubblicato nel 1965. E disponibile oggi in edizione tascabile (Frankfurt, 1981), ma non, per quanto ci consta, in traduzione italiana. La poetessa e romanziera Gertrud Kolmar lo scrisse nei primi anni ‘30, descrivendo l’inferno di un matrimonio tra un tedesco “puro” ed una tedesca ebrea, causa indiretta della morte della figlia. E il marito di lei ad assimilarla a Medea, ed il romanzo è ricco di nomi e di riferimenti euripidei. Kolmar morì ad Auschwitz; venne riscoperta e celebrata nella seconda metà del secolo per la sua scrittura premonitrice, ispirata ed appassionata. Esiste su di lei una ricca divulgazione, per la bibliografia vedi Shafi, 1995. Tra gli anni ‘40 e gli anni ‘50, Medea compare marginalmente nella letteratura germanica entro quella che è stata definita Frauenliteratur della tradizione antica: si possono ricordare due racconti ed un romanzo centrati però sul mito della nave Argo, pubblicati da Marie Luise Kaschnitz, Anna Seghers, Elisabeth Langgàsser (Calabrese, 1998: 121-125). Segue, negli anni ‘60, una serie di produzioni e liriche di matrice femminista (vedi in seguito, p. 93), dedicate questa volta alla protagonista euripidea. Medea. Voci è dunque la prima opera impegnata ed estesa su Medea […]