La poesia tragica crea un mito nuovo, destinato ad attraversare i secoli, il mito della “mater terribilis” che nel tempo e nelle opere letterarie, da Seneca a Corneille, da Grillparzer ad Anouilh, da Corrado Alvaro a Christa Wolf e ad altri autori moderni, si carica di valenze unicamente e assolutamente umane, fino a diventare un nodo inestricabile di pulsioni innominabili e di psicosi irrisolte. Soltanto Pier Paolo Pasolini nel suo film “Medea” interpretato da Maria Callas ricrea intorno alla principessa della Colchide quell’aura di sacralità legata a un mondo in cui la “civiltà” non ha svalorizzato le superstizioni antiche e il sacrificio umano è ancora un gesto incolpevole…
Il mito greco conosce altri casi di madri assassine dei propri figli. Il coro ricorda la leggenda di Ino che gettò il figlio Melicerte in un paiolo d’acqua bollente e poi si uccise gettandosi in mare col suo cadavere. Ma Ino agì come Agave con Penteo: entrambe travolte dalla follia indotta dagli dei (Era per Ino, Dioniso per Agave). Più simile al caso di Medea è quello di Procne, figlia di Pandione re di Atene, che per punire il marito Tereo, reo di averla tradita con la propria sorella Filamela, uccise il figlio avuto da lui, Iti, lo fece bollire e lo diede in pasto a Tereo.
L’analogia con Medea appare chiara soprattutto nel movente – la gelosia – che spinge Procne a compiere , in piena lucidità come Medea, l’uccisione di Iti. Si può osservare che le modalità delle uccisioni (fare a pezzi, bollire ecc.) rievocano riti di immortalità (quelli stessi conosciuti e applicati anche da Medea) e che molti di questi personaggi, vittime e carnefici, subiscono poi una trasformazione che spesso li inserisce nel mondo divino. Anche Euripide si adegua e forse si ispira a queste vicende del patrimonio mitico nell’ ideare quella sorta di apoteosi finale che proietta Medea insieme ai suoi figli nell’universo irraggiungibile degli esseri superiori. […]