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La tragedia del potere

da | Giu 9, 2012

Con il Prometeo di Eschilo si è aperto venerdì scorso il XLVIII ciclo di rappresentazioni classiche del Teatro Greco di Siracusa, che si allunga fino al 30 giugno per un totale di cinquantatré repliche consecutive, alternando, secondo consuetudine, due tragedie dal martedì alla domenica e una commedia, tutti i lunedì. In cartellone, oltre alla tragedia eschilea diretta da Claudio Longhi, anche Baccanti di Euripide diretta da Antonio Calenda e Uccelli di Aristofane, che mentre scommette sulla regia di Roberta Torre, si affida alla rassicurante presenza di Mauro Avogadro, qui nel ruolo di Pisetero, ateniese stanco che cerca libertà e riscatto nel mondo degli uccelli. Attore e regista per anni attiguo al Teatro Stabile di Torino, Avogadro, ora docente di recitazione presso la scuola siracusana dell’Inda (Istituto nazionale del dramma antico) è anche Oceano nel Prometeo di Longhi, un umanissimo Titano che questa regia restituisce senza il cavallo alato ma con un bastone portatore di equilibrio e saggezza. Una lettura lineare, stilizzata, con pochi artifici e poche sorprese quella che Claudio Longhi ha dato del Prometeo di Eschilo, giocata su una dialettica serrata tra immobilità e movimento e una contaminazione tra mondo umano e mondo divino, evidente anche nelle scelte cromatiche di scene e costumi. Prometeo è un potente Massimo Popolizio che sfida l’immobilità a cui è costretto con una tensione ininterrotta della voce e del corpo, proteso e continuamente annientato nella sua filantropica vocazione profetica. Inchiodato a una struttura metallica mossa dal Potere e dalle sue emanazioni, unico elemento scenico oltre alla scalinata ellittica iclinata che fa da contraltare alla cavea, Popolizio è artefice di un movimento per sottrazione rubato all’arroganza di chi lo vuole punire. Il Potere (Massimo Nicolini), la Violenza (Michele Dell’Utri), Efesto claudicante e Ermes alato e vestito di nero, rispettivamente resi da Gaetano Bruno e Jacopo Venturiero, che sembrano evocare attraverso segni diversi un desiderio ibrido di appartenenza e natura. Nelle vesti deformi di Io, la fanciulla amata da Zeus tramutata in vacca per gelosia di Era, Gaia Aprea, forse un po’ troppo accademica e irrigidita nel ruolo, e in quello delle Oceanine le attrici dell’Inda capitanate da Daniela Giovannetti e le danzatrici della Martha Graham Dance Company, presente anche negli altri due spettacoli in cartellone. Ma nelle Baccanti diretto da Antonio Calenda, le danzatrici di Martha Graham, appaiono curiosamente protette dalla mano di Apollo, leziosa e pudica, poco funzionale alla scompaginazione che ci attendiamo dalla tragedia di Euripide. La presenza di Dioniso ritorna invece in modo potente con il racconto dei due messaggeri, i bravissimi Jacopo Venturiero e Giacinto Palmarini, sui quali sembra reggere il peso tragico dell’opera. Maurizio Donadoni ci è parso infatti un Dioniso un po’ sottotono, con qualche concessione all’autoironia, mentre il Tiresia di Francesco Benedetto, dalla cecità invisibile, a tratti persino perentorio, perde in forza profetica e fascinazione. L’Agave di Daniela Giovannetti è opportuna pur senza scuotere, come la corifea di Gaia Aprea. Assai azzeccate invece le musiche di Germano Mazzocchetti.

Alessandro Bernocco

Europa, martedì 15 maggio 2012

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