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Dialogo con Maria Grazia Ciani, traduttrice di Medea per il XLV Ciclo di Rappresentazioni Classiche

da | Mag 8, 2009

Medea uccide uno dei suoi figli. Immagine tratta da un'anfora a figure nere decorata dal "Pittore di Issione". Museo del Louvre.

Medea uccide uno dei suoi figli. Immagine tratta da un'anfora a figure nere decorata dal "Pittore di Issione". Museo del Louvre.

Si parla spesso di universalità dei classici, concetto condivisibile ma che nello stesso tempo rischia di divenire vuoto, astratto. Di certo, i doni dei Greci sono molti, con tutta la complessità e l’ambiguità che il dono stesso ha nel loro immaginario. I doni che ci portiamo dentro, come radice della civiltà, nel modo di pensare, forse di raccontare e di sentire certi valori. Nella letteratura, anche. E mi chiedo se c’è un timeo Danaos che possiamo proferire anche noi; se esiste anche una influenza negativa, “rischiosa” dei Greci sul nostro modo di vivere. Penso, ad esempio, all’abuso della retorica, alla capacità di ricostruire la realtà in modo alterato (ma straordinariamente credibile) e ideologico. A un “complesso di superiorità” che potremmo aver ereditato…

“La nostra città è la scuola della Grecia”, afferma Pericle nell’epitaffio tramandato da Tucidide. Per molti secoli le Grecia stessa è stata la scuola dell’Europa, quando l’Europa si identificava con il mondo più colto e progredito. Una scuola ma anche un mito, seducente, ambiguo e misterioso come tutti i miti. Un’eredità complessa, a tratti luminosa e trasparente, a tratti oscura e indecifrabile. Tuttavia, nel rapporto con questo mondo scomparso, con questa lingua morta, codificata nel lessico e nello stile, l’antico detto “timeo Danaos et dona ferentes” può essere anche inteso alla rovescia: poiché sono loro, gli antichi Greci, a dover temere noi, i barbari, e il nostro assedio fatto di esegesi, discussioni, congetture, riscrizioni, e infinite traduzioni, sempre rinnovate e modificate e sempre al limite, non tanto dell’errore materiale e superficiale, quanto del fraintendimento profondo. “…leggiamo il greco com’era?… Non sbagliamo a leggere?… Non leggiamo nella poesia greca non ciò che c’è, ma ciò che ci manca?”, si chiedeva Virginia Woolf, che della lingua e della poetica greca aveva fatto il suo mito personale. E concludeva che è impossibile cogliere la lingua greca nel suo significato profondo, quindi inutile leggere il greco in traduzione (“Del non sapere il greco”). […]

Il teatro antico sulla scena contemporanea: ciclo di incontri organizzato dall’Università di Bergamo

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