L’assalto al cielo è una sfida persa in partenza, mortali e titani sono avvertiti. L’ ineluttabilità della punizione divina è il tema del nuovo ciclo di spettacoli classici di Siracusa, impreziosito quest’ anno da due elementi forti: le coreografie della Martha Graham dance company, autentica marcia in più dei cori, e la scena di Rem Kolhaas, maestosa, al limite dell’ invasività. Contrariamente alla tradizione che vuole giusto qualche segno simbolico in uno scenario come il teatro greco, stavolta i registi hanno usufruito di un grande piano inclinato di bell’ impatto visivo e di una passerella semicircolare che circonda la scena. Ne è venuta fuori una delle migliori edizioni dell’ Inda degli ultimi tre anni, con un leggero margine di vantaggio, nell’ ingenerosa sfida parallela, per “Baccanti” di Euripide, grazie alla spettacolarità che ottiene la regia di Antonio Calenda: nella mani,e soprattutto nelle gambe, della Graham company, e complice la musica di Germano Mazzocchetti, le donne indemoniate diventano pipistrelli, uccelli notturni che fanno svolazzare come ali le gonne rossonere, pedine di un sabba demoniaco che invade la scena, contagioso, trascinante, capace di avvelenare di follia l’ intera città di Tebe, a cominciare dal saggio Tiresia (Francesco Benedetto) e dal vecchio Cadmo (Daniele Griggio). Per vendicare la scarsa venerazione dei tebani, infatti, e l’ irrispettosità del bacchettone re Penteo (un Massimo Nicolini dalla pronuncia limpida), Dioniso ordisce una beffa spietata: il dio si fa uomo e diventa così lo straniero che porta il contagio della follia, l’ untore, un forestiero «capace di troppi miracoli», come un Gesù peccatore che fa adepti tra gli uomini e scatena diffidenza tra le autorità. Ma, dice Dioniso, «gli stranieri hanno solo usanze diverse», a meno che non siano dèi camuffati capaci di muovere un re come una marionetta, travestirlo da donna e consegnarlo alla furia della madre-baccante. Alla fine il retrogusto della sborniaè amarissimoe si abbatte su Agave che precipita così dall’ euforia animalesca della cacciatrice al dolore umanissimo della madre assassina. Donadoni (assai più misurato ed efficace rispetto ai suoi precedenti siracusani) è un Dioniso seduttore, corruttore, tentatore, che non cade nella trappola dell’ istrioneria a cui invita il ruolo, che tiene a bada i toni e che sviluppa una progressione corretta del personaggio. Daniela Giovannetti è un’ Agave che affronta bene un impegnativo saliscendi emotivo mentre la regia di Antonio Calenda regala una bella coralità, sfruttando al meglio le potenzialità dell’ impianto scenico nell’ ammaliante baccanale della danzatrici. Applausi, generosi, per tutti.
Mario Di Caro, Repubblica di Palermo 26 maggio 2012