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Diario di regista…. Il mistero del Teatro Greco, il luogo dove abita l’utopia

da | Giu 11, 2012

Utopia significa letteralmente non-luogo. La trama di Uccelli di Aristofane ci porta subito a considerare la possibilità di trovare un non-luogo dove ogni conflitto possa scomparire o almeno tenerci a distanza da varie seccature che la vita quotidiana impone. I due ateniesi, Evelpide e Pisetero lasciano la loro città natale, dove «i cittadini cantano in tribunale tutto l’ anno» e dove ogni sorta di scocciature hanno reso impossibile la loro esistenza, e si avviano verso un luogo ancora non esistente, si avviano senza saperlo verso la ricerca dell’ Utopia. Quello che rende straordinario questo tipo di eroe comico è il potere del suo desiderio. È, cioè, un tipo d’ uomo che dà libero sfogo ai suoi desideri e dunque crea un mondo con la propria immaginazione. Sarà possibile fondare una nuova città dove siano gli uccelli a fare da padrone, o invece i due uomini truffaldini e avidi di potere troveranno il modo di sopraffare i poveri uccelli finoa mangiarseli arrostiti? Nel rivedere Uccellacci e uccellini non ho potuto che ripercorrere una fascinazione che lo stesso Pier Paolo Pasolini deve aver subito dal geniale Aristofane, quella per l’ utopia di una città a metà strada tra cielo e terra dove si vive senza portafoglio. È anche una dimensione politica quella che porta i nostri eroi comici a cercare di vivere tra le nuvole, lontano dai propri simili, per fondare lo Stato degli Uccelli, così come politico è l’ inevitabile conflitto tra individuo e società, quando nella meravigliosa nuova città ci si accorge presto che si stanno infilando, uno dopo l’ altro tutti gli umani mali che sembrano impossibili da debellare. Alla nuova città bussano ogni sorta di scocciatori, esattori, giudici, avvocati e indovini…. Insomma, sembra dirci il buon Aristofane, l’ uomo è questo: un essere che non sa vivere senza obblighi, scocciature e problemi. Destini umani che dal 414 avanti Cristo ad oggi non sembrano molto diversi davvero, e che qui a Siracusa prendono corpo e anima nel maestoso spazio del Teatro greco che nella sua spazialità immobile si lascia abitare e percorrere da vicende che ci sono arrivate miracolosamente tramandate e ritrascritte di secolo in secolo. È già incredibile che questi testi, tragedie e commedie, siano giunti fino a noi, se un semplice copione dopo un anno o due di passaggi di mano in mano conserva ben poco della sua scrittura originale. Prodigi dell’ antica Grecia, come prodigiosa è la passione degli spettatori che poggiano le loro terga per una o due ore sui durissimi gradini di pietra pur di assistere alle rappresentazioni. I prodigi qui si sprecano, maè nel momento preciso del tramonto che comprendi davvero quantoi signori greci ci sapessero fare. La luce che abbraccia il teatro per pochi minuti, i rumori sommessi degli uccelli e il vento fermano il tempo. Ti trovi in un non-luogo dove è lecito e ovvio pensare all’ Utopia e dove ho scoperto alcune verità. La prima verità è che non sappiamo davvero come fossero rappresentate ai tempi di Aristofane le sue commedie, non esistono testimonianze al riguardo. Curioso è invece notare che il gusto comune le voglia oggi e sempre travestite da antica Grecia, pepli, barbe e ammennicoli vari, come una messa in scena carnevalizia di quello che il luogo comune vuole sia stata l’ epoca, una specie di parco a tema disneyano, una Farmville nella pietra. Non ho seguito nell’ immaginare il mio spettacolo, questa moda e ho cercato, o almeno sto cercando di carpire lo spirito dell’ Utopica Nubicuculia, pur essendo una cittadina del Contemporaneo. Ho immaginato una stirpe di uccelli a una corte settecentesca che si muove al suono di gavotte e minuetti, composti dal giovane maestro Enrico Melozzi che ha lavorato su sonorità antiche, con clavicembalo, celesta e glassarmonica mescolandole con sensibilità pop. L’ idea di un Potere che nasce già malato in partenza, è reso dalle coreografie che con Dario La Ferla abbiamo voluto immaginare su movimenti sgraziati, impulsivi U elettrici che un coro di uccelli minacciosi e goffi mette in scena. I costumi di Roberto Crea in sintonia puntano su l’ idea di un Settecento rivisitato e molto scorretto. Ai tre attori Mauro Avogadro Rocco Castrocielo e Sergio Mancinelli, il compito di incarnare le figure dei protagonisti, maschere della commedia dell’ arte, manichini e mutanti al tempo stesso. Lo studio Oma che ha creato l’ elegante scena, per Uccelli ha immaginato una foresta mobile di alberi rossi laccati, installazioni a rotelle, macchine sceniche pronte a trasformarsi in boschi possibili e impossibili dove i giovani attori dell’ Accademia Inda inventano uccelli immaginari. Infine ecco affacciarsi una seconda verità attornoa cui mi sto ancora affannando: per il Teatro greco si potrebbe coniare un altro nome che lo possa rappresentare meglio nella contemporaneità perché quando oggi si dice teatro il nostro pensiero va subito a una scatola buia, protettiva, dove una serie di convenzioni ci garantiscono un patto con lo spettatore e ci permettono di mescolare vero e falso. Qui invece, la luce, gli agenti atmosferici, l’ immenso spazio portano la rappresentazione e gli attori a confrontarsi con l’ aspetto rituale della messa in scena. Non c’ è protezione e il teatro si avvia verso il Rito, verso la Sacralità, quello cioè che in origine era il Teatro, prima che la concezione borghese di intrattenimento se ne impossessasse. Improvvisamente senti che non puoi più decidere con i tuoi artifici di condurre lo spettatore da qualche parte perché il luogo e la natura sono più forti. Puoi assecondare il rito ma non puoi officiarlo e hai la sensazione che tutto quello che accade sia irripetibile, il “qui e ora” è tangibile e anche spaventoso. Ogni gesto, ogni frase sembra interpretare un tempo che è al tempo stesso presente e passato. Tanta potenza ti obbliga a metterti al centro del palco e alzare lo sguardo verso il cielo. A quel punto può succedere che la parola diventi preghiera e che gli Dei dall’ alto ti sorridano beffardi. – ROBERTA TORREUtopia significa letteralmente non-luogo. La trama di Uccelli di Aristofane ci porta subito a considerare la possibilità di trovare un non-luogo dove ogni conflitto possa scomparire o almeno tenerci a distanza da varie seccature che la vita quotidiana impone. I due ateniesi, Evelpide e Pisetero lasciano la loro città natale, dove «i cittadini cantano in tribunale tutto l’ anno» e dove ogni sorta di scocciature hanno reso impossibile la loro esistenza, e si avviano verso un luogo ancora non esistente, si avviano senza saperlo verso la ricerca dell’ Utopia. Quello che rende straordinario questo tipo di eroe comico è il potere del suo desiderio. È, cioè, un tipo d’ uomo che dà libero sfogo ai suoi desideri e dunque crea un mondo con la propria immaginazione. Sarà possibile fondare una nuova città dove siano gli uccelli a fare da padrone, o invece i due uomini truffaldini e avidi di potere troveranno il modo di sopraffare i poveri uccelli finoa mangiarseli arrostiti? Nel rivedere Uccellacci e uccellini non ho potuto che ripercorrere una fascinazione che lo stesso Pier Paolo Pasolini deve aver subito dal geniale Aristofane, quella per l’ utopia di una città a metà strada tra cielo e terra dove si vive senza portafoglio. È anche una dimensione politica quella che porta i nostri eroi comici a cercare di vivere tra le nuvole, lontano dai propri simili, per fondare lo Stato degli Uccelli, così come politico è l’ inevitabile conflitto tra individuo e società, quando nella meravigliosa nuova città ci si accorge presto che si stanno infilando, uno dopo l’ altro tutti gli umani mali che sembrano impossibili da debellare. Alla nuova città bussano ogni sorta di scocciatori, esattori, giudici, avvocati e indovini…. Insomma, sembra dirci il buon Aristofane, l’ uomo è questo: un essere che non sa vivere senza obblighi, scocciature e problemi. Destini umani che dal 414 avanti Cristo ad oggi non sembrano molto diversi davvero, e che qui a Siracusa prendono corpo e anima nel maestoso spazio del Teatro greco che nella sua spazialità immobile si lascia abitare e percorrere da vicende che ci sono arrivate miracolosamente tramandate e ritrascritte di secolo in secolo. È già incredibile che questi testi, tragedie e commedie, siano giunti fino a noi, se un semplice copione dopo un anno o due di passaggi di mano in mano conserva ben poco della sua scrittura originale. Prodigi dell’ antica Grecia, come prodigiosa è la passione degli spettatori che poggiano le loro terga per una o due ore sui durissimi gradini di pietra pur di assistere alle rappresentazioni. I prodigi qui si sprecano, maè nel momento preciso del tramonto che comprendi davvero quantoi signori greci ci sapessero fare. La luce che abbraccia il teatro per pochi minuti, i rumori sommessi degli uccelli e il vento fermano il tempo. Ti trovi in un non-luogo dove è lecito e ovvio pensare all’ Utopia e dove ho scoperto alcune verità. La prima verità è che non sappiamo davvero come fossero rappresentate ai tempi di Aristofane le sue commedie, non esistono testimonianze al riguardo. Curioso è invece notare che il gusto comune le voglia oggi e sempre travestite da antica Grecia, pepli, barbe e ammennicoli vari, come una messa in scena carnevalizia di quello che il luogo comune vuole sia stata l’ epoca, una specie di parco a tema disneyano, una Farmville nella pietra. Non ho seguito nell’ immaginare il mio spettacolo, questa moda e ho cercato, o almeno sto cercando di carpire lo spirito dell’ Utopica Nubicuculia, pur essendo una cittadina del Contemporaneo. Ho immaginato una stirpe di uccelli a una corte settecentesca che si muove al suono di gavotte e minuetti, composti dal giovane maestro Enrico Melozzi che ha lavorato su sonorità antiche, con clavicembalo, celesta e glassarmonica mescolandole con sensibilità pop. L’ idea di un Potere che nasce già malato in partenza, è reso dalle coreografie che con Dario La Ferla abbiamo voluto immaginare su movimenti sgraziati, impulsivi U elettrici che un coro di uccelli minacciosi e goffi mette in scena. I costumi di Roberto Crea in sintonia puntano su l’ idea di un Settecento rivisitato e molto scorretto. Ai tre attori Mauro Avogadro Rocco Castrocielo e Sergio Mancinelli, il compito di incarnare le figure dei protagonisti, maschere della commedia dell’ arte, manichini e mutanti al tempo stesso. Lo studio Oma che ha creato l’ elegante scena, per Uccelli ha immaginato una foresta mobile di alberi rossi laccati, installazioni a rotelle, macchine sceniche pronte a trasformarsi in boschi possibili e impossibili dove i giovani attori dell’ Accademia Inda inventano uccelli immaginari. Infine ecco affacciarsi una seconda verità attornoa cui mi sto ancora affannando: per il Teatro greco si potrebbe coniare un altro nome che lo possa rappresentare meglio nella contemporaneità perché quando oggi si dice teatro il nostro pensiero va subito a una scatola buia, protettiva, dove una serie di convenzioni ci garantiscono un patto con lo spettatore e ci permettono di mescolare vero e falso. Qui invece, la luce, gli agenti atmosferici, l’ immenso spazio portano la rappresentazione e gli attori a confrontarsi con l’ aspetto rituale della messa in scena. Non c’ è protezione e il teatro si avvia verso il Rito, verso la Sacralità, quello cioè che in origine era il Teatro, prima che la concezione borghese di intrattenimento se ne impossessasse. Improvvisamente senti che non puoi più decidere con i tuoi artifici di condurre lo spettatore da qualche parte perché il luogo e la natura sono più forti. Puoi assecondare il rito ma non puoi officiarlo e hai la sensazione che tutto quello che accade sia irripetibile, il “qui e ora” è tangibile e anche spaventoso. Ogni gesto, ogni frase sembra interpretare un tempo che è al tempo stesso presente e passato. Tanta potenza ti obbliga a metterti al centro del palco e alzare lo sguardo verso il cielo. A quel punto può succedere che la parola diventi preghiera e che gli Dei dall’ alto ti sorridano beffardi.

ROBERTA TORRE

Repubblica, Palermo 4 maggio 2012

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