Questo il titolo del 53° Ciclo delle rappresentazioni classiche in programma a Siracusa per la stagione INDA 2017. Perché? Perché per Siracusa oggi, come per Atene nel quinto secolo a.C., il teatro è la città e la città è il teatro: come dimostrano in maniera esemplare le Rane di Aristofane, che sono la prima, profonda riflessione teorica sull’essenza del teatro greco.
E appunto le Rane costituiranno il fulcro del ciclo di spettacoli del prossimo anno: a partire dalla celebre requisitoria aristofanea su vizi e virtù dei massimi esponenti della tragedia attica, si ripercorrerà la storia stessa del genere tragico attraverso la rappresentazione di due drammi nei quali i due tragediografi protagonisti delle Rane si confrontano sulla medesima saga mitica.
Riproposte nel teatro greco di Siracusa a distanza di quindici anni dalla memorabile
messa in scena di Ronconi del 2002, le Rane di Aristofane furono rappresentate per la prima volta ad Atene nel 405 a.C. poco dopo la morte di Euripide e di Sofocle e alla vigilia della disfatta ateniese nella guerra del Peloponneso. E appunto sullo sfondo di questi eventi epocali per la vita culturale e politica della città di Atene Aristofane sottopone a una incisiva disamina critico-letteraria gli esiti morali e ideologici della poetica tragica nelle sue espressioni più divaricate ed ‘estreme’. Nucleo nevralgico della commedia è infatti la contesa tra Eschilo ed Euripide, innescata dalla catabasi di Dioniso, il dio del teatro che scende nell’Ade perché, assalito da un ‘irresistibile’ desiderio di Euripide, vuole a tutti i costi riportarlo sulla terra. La sorpresa finale è che vincitore del lungo, articolato agone poetico e alla fine direttamente politico che si svolge nell’Ade dinanzi al giudice supremo Dioniso, risulterà invece Eschilo: il poeta
‘utile alla città’, che – al netto di una drammaturgia tendenzialmente monocorde e di una
dizione proverbialmente impervia e reboante – è quello di cui, specie in questo difficile momento storico, la città ha bisogno. Aristofane analizza con grande efficacia le novità introdotte da Euripide nell’arte drammatica ed esprime, mettendone in ridicolo gli elementi più moderni d’introspezione, il bisogno di sicurezza di un’epoca di transizione che attraverso la preferenza per la poetica di Eschilo vagheggia il ritorno al grande passato di Atene.
Nelle due tragedie prescelte – i Sette contro Tebe di Eschilo e le Fenicie di Euripide
– le due poetiche che si sono scontrate nelle Rane prendono corpo sulla scena nella loro
piena evidenza e nella maniera per noi più emblematica. Pur tra loro assai distanti, non soltanto nel tempo ma anche nello stesso modo di concepire l’agire tragico, in quanto incentrate sul medesimo tema mitico, finiscono infatti per apparirci, per così dire, quasi intenzionalmente ‘in competizione’.
I Sette contro Tebe, portati in scena a Siracusa l’ultima volta nel 2005, sono uno dei drammi più antichi tra quelli di Eschilo giunti sino a noi. Rappresentati ad Atene nel 467 a.C., ed esplicitamente menzionati, a più di sessant’anni di distanza (forse per effetto di un suo revival scenico ?), proprio nelle Rane, presentano un testo asciutto ed essenziale che descrive con icastico nitore il terrore della guerra: mentre la parola del poeta evoca con formidabile potere immaginifico i clangori delle armi, la puntuale definizione delle forze in campo – in particolare dello schieramento difensivo dei Tebani assaliti dai sette guerrieri Argivi che hanno posto l’assedio a Tebe – si alterna agli agghiaccianti silenzi indotti dalla paura e dal sentore della morte incombente su ciascuno dei combattenti e sulla città intera. Nella staticità della situazione e nella monoliticità dei pochi (tre) personaggi attivi sulla scena, spicca Eteocle, il primo vero eroe ‘tragico’ che noi conosciamo, dilaniato com’è dal dilemma esistenziale del ‘che fare’, diviso tra città e guerra, tra interesse della polis e demone della stirpe. A lui si contrappone il vano,
inascoltato compianto del coro di fanciulle tebane, che s’illude con i suoi lamenti di poter sottrarre i due fratelli, Eteocle e Polinice, al loro amaro destino e in tal modo di scongiurare anche la strage e la rovina della propria città.
Le medesime vicende del ciclo tebano, osservate a distanza di più di un cinquantennio da Euripide, rivivono in una tragedia che torna al teatro greco di Siracusa dopo ben quarantasette anni. Nelle Fenicie, portate in scena tra il 411 e il 409 a.C., Euripide sfida evidentemente il modello e su una struttura drammatica di derivazione eschilea impianta un’architettura di grande effetto, ricca di novità sorprendenti: la molteplicità dei punti di vista connessa all’inserzione di nuovi spunti tematici, la complessità dell’intreccio, l’introspezione psicologica dei numerosi personaggi che si avvicendano sulla scena (soprattutto dei due fratelli e di Giocasta, la mater dolorosa che non trovava posto nella tessitura drammaturgica dei Sette), le molteplici innovazioni mitologiche, l’indagine sulla insanabile scissione tra pubblico e privato, il ruolo del tutto
‘atipico’ del coro di donne straniere (forse anche schiave), ben più marginalmente – e certo assai meno emotivamente – coinvolto rispetto al coro femminile dei Sette, e perciò percepito come osservatore distante che commenta l’azione inascoltato: sono questi solo alcuni dei tratti peculiari dell’originalissimo remake euripideo.
Così sarà dunque possibile seguire l’evoluzione della drammaturgia ateniese: ruolo del coro e degli attori, evoluzione della struttura del testo, validità civica del rito della rappresentazione tragica, obiettivi politico-pedagogici dei poeti. Ma vero fil rouge di questo 53° ciclo di rappresentazioni siracusane sarà, come si è detto, la Città: anzitutto la vicenda di Tebe, patria della stirpe di Cadmo (che ha dato i natali a Laio, Edipo, Antigone, Eteocle e Polinice), difesa e assediata perché troppo amata e sempre al centro di desideri opposti di ricchezza e potere; e, più in generale, la centralità della polis, le passioni che suscita, la lotta per la difesa e la conquista, il nesso inscindibile tra città e teatro. Tutto questo richiamerà costantemente il 2750° anniversario della Fondazione di Siracusa che ricorrerà nel 2017. Per rievocare e commemorare adeguatamente tale evento ci si avvarrà peraltro di originali proposte performative, opportunamente disposte nel corso della stagione teatrale: si promuoveranno in particolare, momenti di pubblico dibattito a partire dalla lettura di brani esemplari della storiografia e dell’erudizione antiche ma anche della narrativa moderna.
Luciano Canfora