A torto considerati a lungo niente più che una fantastica féerie sospesa tra il sonno e la veglia come fece a suo tempo Cobelli seguito a ruota da un’impressionante schiera di registi, oggi Gli Uccelli di Aristofane, che gli studiosi in passato considerarono un copione criptico denso di riferimenti alla disfatta della spedizione ateniese in Sicilia, godono di una nuova popolarità. Che giustamente fa leva sugli aspetti parodistici di quest’opera geniale che incorona i nostri amici pennuti ad arbitri del destino della nostra specie con gli uomini che surrogano il potere assunto in prima persona dai falsi dei dell’Olimpo. Roberta Torre, che diede buona prova delle sue capacità di teatrante con un’interessante edizione della Ciociara, ha sfoderato qui tutto il suo talento visivo proponendoci, di questa favola iniziatica percorsa da una vena di amaro sarcasmo, uno spettacolo di sfrenata fantasia visiva. Con gli attori che cambiano a vista i propri connotati umani sovrapponendo a magliette, pantaloni e giacche le bianche epidermidi dei volatili. Stavolta occupati a non scendere e a salire dalle chiome fluenti degli alberi ma a governare l’ondoso moto altalenante come se fossero i padroni della terra (ricordo involontario degli Uccelli di Mr Hitchcock?). Mentre i fautori dell’ipotesi di fondare tra le nubi la città di Castellinaria la fanno da padroni facendo e disfacendo la tela di quella esasperata utopia. Difesa a denti stretti grazie all’agile prestanza di Sergio Mancinelli e soprattutto al magnetismo di gran classe di un Mauro Avogadro in stato di grazia.
Enrico Groppali
Il Giornale, lunedì 21 maggio 2012