INTERVISTA AL REGISTA FEDERICO TIEZZI
Federico Tiezzi è un regista che all’interesse per la contemporaneità sa integrare quello per la cultura classica. Di gusto prevalentemente realistico, trova però nella simbologia la chiave di maggiore interpretazione dei testi. Essenziale nella sua lunga ricerca è l’attenzione alla visività.
Quanto la sua concezione visiva dell’arte pesa su Ifigenia in Aulide?
Non poco, anche se la mia formazione di storico dell’arte, di persona che ha in mente principalmente la figuratività, si è scolpita negli anni attraverso la lettura, la rilettura e l’interpretazione del testo. Una volta ho messo in scena Uccelli di Aristofane nella versione di Dario Del Corno ripensando il testo come se prendesse nuova vita nel mondo contemporaneo; e un’altra ho fatto Antigone di Sofocle tratta da Holderlin, un testo che ho amato molto. L’avere scoperto da studente, come una fascinazione, il Living theatre ha instillato in me un concetto di corporeità che mi è servito per trovare nei testi classici come il mondo olimpico non fosse proprio olimpico ma affondasse le sue radici in un’arcaicità barbara e barbarica. Sicché quando poi ebbi per le mani la traduzione di Holderlin dell’Antigone, della quale Schiller rideva perché era tutta sbagliata, compresi come riuscisse a fare emergere tutti quei lati che riguardano il genos, la stirpe, il sangue, la vendetta cruenta ed esaltare eroi che piano piano risalgono al logos, a un mondo più razionale. Con questa idea ho inteso affrontare Ifigenia in Aulide, partendo dalla considerazione che ne aveva Aristotele il quale la trovava una tragedia non riuscita per via di questa ragazza che pensa una cosa e subito dopo ne fa un’altra.
Tant’è che è vista come un’opera minore.
Eppure ha almeno tre novità di rilievo. La prima è appunto la trasformazione di Ifigenia da bambina a jihadista pronta a farsi esplodere. L’altra novità, per me superba, è rappresentata dal coro di fanciulle che vengono a vedere gli eroi come fans davanti al red carpet dell’antichità ad ammirare i divi del tempo. Testimoniano la grandezza di Atene nonostante la sconfitta con Sparta, sebbene poi vediamo il mito di questi eroi sgretolarsi, perché Agamennone è un vero mascalzone e non di meno è il fratello Menelao che alla preoccupazione del re che Calcante insista per il sacrificio trova la soluzione proponendo di ucciderlo. Poi c’è Odisseo, un’ombra minacciosa, una invisibile presenza che tiene il fiato sul collo a tutti. La terza novità è costituita dagli spunti comici che fanno del dramma una tragicommedia. Nel vecchio minacciato di bastonate non c’è tutto Aristofane?
Si può anzi ben dire che la tragedia è una specie di commedia degli equivoci dove tutti non si intendono e si ingannano, per cui si capisce perché è considerata minore come tragedia.
Sì, il malinteso è generale, ma io la vedo come una vera e propria tragedia, tanto che ho pensato di farne una sorta di prequel dell’Agamennone di Eschilo così da spiegare quelle che saranno le battute di Clitennestra, diverse che in Euripide, perché racocnta un’altra storia protestando per aver legato la figlia, averla trascinata e picchiata. Se noi vediamo Ifigenia in Aulide come un prequel di Agamennone riusciamo a capire le ragioni che spingono Clitennestra ad uccidere il marito, ancora di più perché in Euripide è presente il piccolo Oreste. Pensiamo alla reazione del pubblico ateniese che vede Oreste e lo ricorda da grande nelle Coefore.
Insomma lei pensa alla saga.
Il meccanismo è proprio quello, che è poi riconducibile al teatro orientale e in particolare al teatro classico indiano dove si prendono dei pezzi di una storia, si cuciono e separano e si canta al ritmo della musica modale del raga che è forse quella più vicina alla musica greca antica.
Quindi vedremo costumi e scenografie ispirate all’India?
Il richiamo c’è. Ma c’è anche Duilio Cambellotti che fece a Siracusa una splendida Ifigenia in Aulide, molto visiva. Due soluzioni gliele ho copiate: il corteo che arriva che si schiera in riga e il piegamento che fanno i soldati. Ma ci sono anche elementi di modernità come gli abiti arancioni di Ifigenia e del coro e quelli neri dei sacerdoti, a ricordare i rituali dell’Isis. Dopotutto ho puntato molto sull’idea che questo dramma sia il preludio del teatro borghese di fine Ottocento, Ibsen e Strindberg. Non so se Ibsen abbia studiato Euripide ma certo leggendo i discorsi e le liti tra i protagonisti dell’Ifigenia in Aulide sembra di stare in una sua tragedia, Borkman o Il costruttore Solness, oppure viene in mente il teatro da camera di Strindberg. E in effetti le scene centrali del dramma le faccio svolgere in uno spazio ridotto. C’è una tenda, dove dovrebbero finire un po’ tutti, dal vecchio a Clitennestra ad Ifigenia ad Agamennone, che invece ho fatto diventare una casa, la casa maledetta degli Atridi, una stirpe di assassini fondata sulla maledizione. Mi piacerebbe che al momento della combustione dei sentimenti, quando Clitennestra accusa il marito presenti Oreste ed Ifigenia, la scena si svolgesse oltre una linea di fuoco, meglio un cerchio dentro il quale brucia simbolicamente tutta la famiglia.INTERVISTA AL REGISTA FEDERICO TIEZZI
Federico Tiezzi è un regista che all’interesse per la contemporaneità sa integrare quello per la cultura classica. Di gusto prevalentemente realistico, trova però nella simbologia la chiave di maggiore interpretazione dei testi. Essenziale nella sua lunga ricerca è l’attenzione alla visività.
Quanto la sua concezione visiva dell’arte pesa su Ifigenia in Aulide?
Non poco, anche se la mia formazione di storico dell’arte, di persona che ha in mente principalmente la figuratività, si è scolpita negli anni attraverso la lettura, la rilettura e l’interpretazione del testo. Una volta ho messo in scena Uccelli di Aristofane nella versione di Dario Del Corno ripensando il testo come se prendesse nuova vita nel mondo contemporaneo; e un’altra ho fatto Antigone di Sofocle tratta da Holderlin, un testo che ho amato molto. L’avere scoperto da studente, come una fascinazione, il Living theatre ha instillato in me un concetto di corporeità che mi è servito per trovare nei testi classici come il mondo olimpico non fosse proprio olimpico ma affondasse le sue radici in un’arcaicità barbara e barbarica. Sicché quando poi ebbi per le mani la traduzione di Holderlin dell’Antigone, della quale Schiller rideva perché era tutta sbagliata, compresi come riuscisse a fare emergere tutti quei lati che riguardano il genos, la stirpe, il sangue, la vendetta cruenta ed esaltare eroi che piano piano risalgono al logos, a un mondo più razionale. Con questa idea ho inteso affrontare Ifigenia in Aulide, partendo dalla considerazione che ne aveva Aristotele il quale la trovava una tragedia non riuscita per via di questa ragazza che pensa una cosa e subito dopo ne fa un’altra.
Tant’è che è vista come un’opera minore.
Eppure ha almeno tre novità di rilievo. La prima è appunto la trasformazione di Ifigenia da bambina a jihadista pronta a farsi esplodere. L’altra novità, per me superba, è rappresentata dal coro di fanciulle che vengono a vedere gli eroi come fans davanti al red carpet dell’antichità ad ammirare i divi del tempo. Testimoniano la grandezza di Atene nonostante la sconfitta con Sparta, sebbene poi vediamo il mito di questi eroi sgretolarsi, perché Agamennone è un vero mascalzone e non di meno è il fratello Menelao che alla preoccupazione del re che Calcante insista per il sacrificio trova la soluzione proponendo di ucciderlo. Poi c’è Odisseo, un’ombra minacciosa, una invisibile presenza che tiene il fiato sul collo a tutti. La terza novità è costituita dagli spunti comici che fanno del dramma una tragicommedia. Nel vecchio minacciato di bastonate non c’è tutto Aristofane?
Si può anzi ben dire che la tragedia è una specie di commedia degli equivoci dove tutti non si intendono e si ingannano, per cui si capisce perché è considerata minore come tragedia.
Sì, il malinteso è generale, ma io la vedo come una vera e propria tragedia, tanto che ho pensato di farne una sorta di prequel dell’Agamennone di Eschilo così da spiegare quelle che saranno le battute di Clitennestra, diverse che in Euripide, perché racocnta un’altra storia protestando per aver legato la figlia, averla trascinata e picchiata. Se noi vediamo Ifigenia in Aulide come un prequel di Agamennone riusciamo a capire le ragioni che spingono Clitennestra ad uccidere il marito, ancora di più perché in Euripide è presente il piccolo Oreste. Pensiamo alla reazione del pubblico ateniese che vede Oreste e lo ricorda da grande nelle Coefore.
Insomma lei pensa alla saga.
Il meccanismo è proprio quello, che è poi riconducibile al teatro orientale e in particolare al teatro classico indiano dove si prendono dei pezzi di una storia, si cuciono e separano e si canta al ritmo della musica modale del raga che è forse quella più vicina alla musica greca antica.
Quindi vedremo costumi e scenografie ispirate all’India?
Il richiamo c’è. Ma c’è anche Duilio Cambellotti che fece a Siracusa una splendida Ifigenia in Aulide, molto visiva. Due soluzioni gliele ho copiate: il corteo che arriva che si schiera in riga e il piegamento che fanno i soldati. Ma ci sono anche elementi di modernità come gli abiti arancioni di Ifigenia e del coro e quelli neri dei sacerdoti, a ricordare i rituali dell’Isis. Dopotutto ho puntato molto sull’idea che questo dramma sia il preludio del teatro borghese di fine Ottocento, Ibsen e Strindberg. Non so se Ibsen abbia studiato Euripide ma certo leggendo i discorsi e le liti tra i protagonisti dell’Ifigenia in Aulide sembra di stare in una sua tragedia, Borkman o Il costruttore Solness, oppure viene in mente il teatro da camera di Strindberg. E in effetti le scene centrali del dramma le faccio svolgere in uno spazio ridotto. C’è una tenda, dove dovrebbero finire un po’ tutti, dal vecchio a Clitennestra ad Ifigenia ad Agamennone, che invece ho fatto diventare una casa, la casa maledetta degli Atridi, una stirpe di assassini fondata sulla maledizione. Mi piacerebbe che al momento della combustione dei sentimenti, quando Clitennestra accusa il marito presenti Oreste ed Ifigenia, la scena si svolgesse oltre una linea di fuoco, meglio un cerchio dentro il quale brucia simbolicamente tutta la famiglia.