Una civile protesta per sollecitare sviluppo e lavoro; un preambolo di voci bianche (dirette da Elena Polic Greco) per cantare i versi del compianto. Così ieri sera, davanti al consueto accorrere di autorità e personalità della cultura, ma soprattutto di giovani attentissimi cultori di cose classiche è iniziato il 48° ciclo di spettacoli classici. Un Prometeo spettacolare per impianto scenico e per commento musicale (di Andrea Piermartire) per regia (di Claudio Longhi) che sceglie di raffigurare l’antico con le modalità del moderno: gli aguzzini sono sovraccarichi di barbara brutalità che le figurazioni antiche evitavano. La recitazione voluta dal regista è enfatica. Il mito antico certamente lo era, ma in forma meno realistica, come poi dimostrato dallo sviluppo dell’ azione. Ma questa tragedia non è solo accentuazione della violenza celeste, quanto il suo scontro con l’umanità dolente, eppure erotica. Massimo Popolizio sottolinea il pathos di chi soffre e resiste e nonostante l’apparato ferreo che lo costringe, può esprimere con il gesto la propria forte protesta, mentre le Oceanine ( i cui costumi – d Gianluca Sbicca – sono di una notevole eleganza coloristica) realizzano quell’accostamento di bellezza e dolore che da illustri critici moderni (ma anche antichi) fu creduto la cifra spirituale di una tragedia insolita: in cui la distinzione del bene e del male non è assoluta. Progressivamente diventa chiaro il disegno del regista: rendere modernamente dinamico quello che Eschilo aveva incatenato alle rupi caucasiche e vario il movimento corale che tradizionalmente era legato a rigide regole ritmiche. Il gigante, pur incatenato, è sempre in movimento grazie all’ordigno che lo trasporta per l’orchestra, il coro, anche quando non parla, è in continuo moto. Il gesto di tutti gli interpreti rimanda all’apparenza esteriore coloristicamente varia. Questo è l’impero del gesto. Ma ovviamente gli eroi restano sempre gli artisti della parola: Daniela Giovanetti come corifea. Gaia Aprea nel tormento viscerale di Io e finalmente l’epilogo tragico di Ermes, magistralmente interpretato da Jacopo Venturiero.
Il pubblico presto coglie il senso della drammaturgia e condividendo le scelte, applaude a scena aperta. Siamo in presenza di una trasposizione dagli schemi dell’aracismo tragico. Ma proprio per questo lo sentiamo vicino ai nostri modi di intendere. Non meno validi gli altri interpreti (Michele dell’Utri, Gaetano Bruno, Massimo Nicolini), finale spettacolare e grandioso di ekpyrosis tragica.
Sergio Sciacca, La Sicilia 12 maggio 2012