Irridente, devastante, sacerdote laico che gioca con chi non gli va a genio. Dioniso, protagonista di Baccanti – secondo appuntamento dell’Inda al Teatro Greco di Siracusa – amministra giustizia a modo suo, sciorina bugie, ma non accetta di non essere riconosciuto come dio. Ha poco del fanciullo cresciuto e gaudente della mitologia classica, è più un suadente e beffardo politico di oggi che cerca di tenere saldo il suo posto. E da buon politico, essere messo di lato, la ribalta è il suo pane. Antonio Calenda mostra di saper gestire la cavea amplificata dalla scenografia di Rem Koolhaas: i due cerchi in legno che si riflettono l’uno sull’altro, ingrandiscono la visione, la rendono rotonda, la globalizzano. Ma anche il corpo di ballo di Martha Graham è utilizzato al meglio e reso protagonista con il coro “di casa”: certo con un testo come Baccanti che ha come perno il rito dionisiaco, la follia delle adepte, bestie ferite che ruotano su se stesse cercando dentro una musica antica e comune…la strada è segnata, ma non bisogna lasciarsi prendere la mano. E Calenda, che conosce bene la cavea siracusana e il suo pubblico, sa che le visioni qui sono pane quotidiano, come anche il tocco grandguignolesco del finale. Una regia multifunzionale, la sua, che guarda spesso ad Oriente e sa anche leggere oltre: e trova in Euripide, quattrocento e passa anni prima, brandelli del Vangelo; nello scontro tra Penteo e Dioniso, momenti del processo a Cristo, la paura dell’ignoto, un dio calato dall’alto che cerca riconoscimento. Maurizio Donadoni – chiamato in corsa due settimane fa per sostituire Giorgio Albertazzi – è padrone di un sorriso sardonico, un tocco ironico, leggero, unica arma contro il potere e l’ignoranza. E’ un Dioniso veggente, filosofo, malandrino , manovratore e bugiardo, arrampicato su una struttura orientale, una bara/carro sacrificale che tanto ricorda i draghi del Carnevale cinese. Di contro Massimo Nicolini dà vita ad un Penteo doloroso, scontroso, ma soprattutto incerto sulla strada da prendere fino al suo martirio. Azzeccata la corifea di Gaia Aprea, molto più a suo agio che nella precendete Io di Prometeo. I vecchi Cadmo e Tiresia (Francesco Benedetto e Daniele Griggio) sono due maschere dinoccolate, fangose, estenuate; Daniela Giovanetti un’Agave esagerata, ferita e folle, Luca Di Mauro, Jacopo Venturiero e Giacinto Palmarini dividono i racconti di guardia e messaggeri cui è affidata la potenza del dio. Belle le musiche di Germano Mazzocchetti, inzuppate di certi echi mediterranei. Tantissimi applausi, pubblico entusiasta.
Simonetta Trovato
Giornale di Sicilia, domenica 13 maggio 2012