54° Festival
del Teatro Greco di Siracusa
10 Maggio | 8 Luglio 2018

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CONCEPT

di Luciano Canfora

Tiranno, eroe, governo: ascesa e declino

 

Risparmiai la terra patria, non ricorsi all’amara violenza e alla tirannide né macchiando né disonorando la mia reputazione, e non me ne vergogno: così, credo, maggiore autorità avrò su tutti gli uomini”.  Con queste parole il grande legislatore ateniese Solone, agli inizi del VI secolo a.C., fissava in una sintesi poetica perfetta una dialettica virtuosa e al contempo perversa: quella che l’uomo greco vede sorgere nell’animo umano grazie all’esercizio del potere. Il potere fa del governante saggio ed equilibrato un sovrano “assoluto”, portato a esercitare violenza e sopraffazione sugli altri e ad alienare se stesso; lo trascina dall’apice della fortuna all’abisso della rovina. Tragico è dunque il corto circuito innescato da vocaboli come “tirannide” : parole che nella Grecia antica risultano ambivalenti e che, nell’Atene di V e IV secolo a.C., si caricano di valenze inusitate (all’origine il termine è un concetto positivo: indica il grande pacificatore)… A questo tragico corto circuito si ispira il concept di questa stagione. Perché?

Perché la metafora del potere è metafora della vita stessa, è apologo morale che ci obbliga a riflettere sulla precarietà della sorte umana, sulla sua mutevolezza imperscrutabile e spesso irragionevole. Intorno a questa riflessione si aggrovigliano i nodi esistenziali degli eroi – positivi e negativi – della tragedia greca. Le biografie dei tiranni della storia greca si colorano dei tratti topici delle biografie degli eroi del mito: infanzia marginale e predestinazione, segnalate talora da una qualche deformità, fisica e/o morale, matrimonio importante e ascesa sociale, gesta di conquista e attività di fondazione, tracollo del potere e morte eccezionale – in definitiva, squilibrio e disarmonia, che si estrinsecano in un impulso alla contraddizione e all’eccesso. Nel bene e nel male. Ed è così che eroe e antieroe diventano facce della stessa medaglia e della stessa persona, ed è così che nella tragedia greca il tiranno diviene figura titanica nella sua grandezza, il cui prestigio e potere si ritorcono anche, anzi soprattutto, contro se stesso: persino al di là della sua stessa volontà. Il tiranno è infatti costretto alla solitudine e al crimine, e diviene perciò vittima di se stesso. Questo il fil rouge che collega i tre drammi proposti per la stagione 2018 degli spettacoli di Siracusa.

edipo a
colono

di Sofocle

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In un percorso a ritroso, si partirà dall’Edipo a Colono, l’ultima tragedia superstite di Sofocle rappresentata postuma, e ponte ideale con la lotta fratricida dei figli di Edipo per il possesso della città messa in scena nella stagione 2017. Una tragedia che, scritta negli ultimi anni di vita dell’ormai novantenne tragediografo, in una Atene annientata dal precipitare degli eventi della guerra con Sparta, apre il varco per una possibile rinascita: dalla effimera illusione oligarchica del 411 a.C. al vagheggiato e simbolico ritorno, a Colono, di un buon padre-re. Ritorno collocato da Sofocle non a caso nella terra dei propri padri, il demo attico di Colono. In quel demo, peraltro, lo stesso Sofocle si era trovato ad avallare, in un’assemblea militarizzata e intimidita, i primi passi del «golpe» del 411. Ed è così che anche l’inesorabile verdetto dell’Edipo re (dentro il migliore dei sovrani può nascondersi il più vergognoso dei criminali), tragicamente appesantito dalla maledizione che porta allo scontro ed alla morte dei suoi figli maschi con l’annientamento della stirpe, trova il suo riscatto in un finale ‘aperto’, che di quel verdetto rappresenta una ritrattazione revisionistica (dentro il più orribile dei criminali può celarsi il più salvifico dei sovrani). Edipo assurge, così, a portatore di una chance di salvezza per Atene. Viene infatti recepita dal sovrano di Atene Teseo – vero buon sovrano, per giunta giovane, della tragedia – l’istanza di asilo del vecchio Edipo: ormai cieco e inerme, espulso dalla sua città come un capro espiatorio perché contaminato dai propri inconsapevoli ma atroci crimini (l’uccisione del padre e l’unione incestuosa con la madre) e dalla punizione che egli stesso si è inferto cavandosi gli occhi dalle orbite. Edipo giunge ad Atene, aggrappato al braccio della figlia Antigone, nell’idillico bosco sacro di Colono. E il suo destino si compie.

Eracle

di Euripide

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Ma Teseo, il mitico re ateniese emblema, nel teatro attico, del «tiranno» ‘giusto’ e ‘inclusivo’, interviene, come campione di philía e di xenía, di amicizia e di ospitalità, anche nel finale dell’Eracle di Euripide, l’altra delle due tragedie previste nella programmazione siracusana del 2018. Dramma appassionante e struggente, ricco di inattesi colpi di scena e di intenso patetismo. È il dramma della follia, la follia che colpisce e trascina nella polvere l’eroe civilizzatore e benefattore dell’umanità per antonomasia qual è Eracle. Eracle è un eroe ‘positivo’ in tutta la prima parte di questa tragedia, salva in extremis la propria famiglia dalla strage macchinata da Lico, il tiranno usurpatore del trono di Tebe al quale riesce a tendere un agguato mortale. Nella seconda parte del dramma, proprio come Edipo, vede paradossalmente ribaltato il proprio destino personale e irreparabilmente ‘contaminato’ il proprio statuto eroico allorché incorre nell’irrazionale vendetta di Era, dettata da un’antica gelosia coniugale, la quale, avvalendosi della potenza obnubilatrice di Lyssa, lo induce a uccidere, in un raptus di follia, quegli stessi familiari, moglie e figli, da lui poco prima sottratti a morte sicura, dando vita a una delle rappresentazioni più lucide e spettacolari, mai offerte dal teatro antico e moderno, del delirio della mente umana.
Entrambi, dunque, Edipo ed Eracle, contaminati e precipitati nella più cupa disperazione per le proprie involontarie colpe, riconosceranno nell’amicizia di Teseo – e dunque, fuor di metafora, in Atene – la luce della solidarietà e dell’accoglienza. Sul piano etico, poi, la moderna lezione che se ne ricava è che non già il suicidio (al quale era approdato ad esempio Aiace, incapace di sostenere il peso della propria vergogna), bensì la virile sopportazione del dolore causato dalle proprie colpe, contraddistingue la condotta di un eroe (e ovviamente di un tiranno) incorso nella sventura, e costituisce la più degna conclusione della sua esistenza. Ed è così che l’antico eroe sovrumano muore per rinascere come uomo: questa volta egli riceve, anziché dare, l’aiuto del prossimo, e sopporta le sofferenze dei comuni mortali.

I Cavalieri

di Aristofane

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Il gigantismo del tiranno o dell’eroe trova il suo grottesco rovescio nel demagogo della commedia, che di quella ‘tragica’ grandezza rappresenta, in maniera provocatoria e ‘demagogica’, lo svilimento e la degradazione. E il demagogo per antonomasia della commedia ateniese è Cleone. Capo del partito democratico, subentrato a Pericle nella leadership della Città, bersaglio privilegiato della satira politica aristofanea degli anni Venti del V secolo. Cleone è il protagonista dei Cavalieri, la fortunata commedia rappresentata nel teatro ateniese di Dioniso alle Lenee del 424 a.C. Essa garantì a un Aristofane ancora giovane il primo premio. Mai, sino a oggi, è stata prevista nella programmazione siracusana dell’INDA. Questo sarà appunto il terzo dramma in scena nella stagione 2018, nel quale protagonisti sono il vecchio e rimbambito Demo, allegoria del popolo ateniese, e un servo di casa, Paflagone, controfigura di Cleone, uomo rozzo ma astuto e potente, che con l’adulazione e i raggiri si è guadagnato i favori del padrone. A sorpresa, grazie alle trame di altri due servi (a loro volta probabili controfigure dei due strateghi ateniesi Nicia e Demostene), stanchi di essere tiranneggiati dai voleri di un Demo ormai totalmente asservito al servo-demagogo, ma grazie anche al decisivo supporto fornito dal coro di Cavalieri (nemici giurati della democrazia ateniese), con tragicomico rovesciamento Paflagone-Cleone cadrà in disgrazia. Espulso anch’egli come un capro espiatorio ai margini della città e condannato a… vendere salsicce, verrà soppiantato, da un politico a dir poco ‘improvvisato’: un Salsicciaio, terzo componente di un esilarante terzetto, soggetto non meno spregevole, e se possibile, ancor più ignorante e arrogante dell’altro! Chi è, in questa vicenda, il tiranno? Chi l’eroe? Sarà la storia, quella antica e quella attuale, a rispondere.