CONCEPT
di Luciano Canfora
“Risparmiai la terra patria, non ricorsi all’amara violenza e alla tirannide né macchiando né disonorando la mia reputazione, e non me ne vergogno: così, credo, maggiore autorità avrò su tutti gli uomini”. Con queste parole il grande legislatore ateniese Solone, agli inizi del VI secolo a.C., fissava in una sintesi poetica perfetta una dialettica virtuosa e al contempo perversa: quella che l’uomo greco vede sorgere nell’animo umano grazie all’esercizio del potere. Il potere fa del governante saggio ed equilibrato un sovrano “assoluto”, portato a esercitare violenza e sopraffazione sugli altri e ad alienare se stesso; lo trascina dall’apice della fortuna all’abisso della rovina. Tragico è dunque il corto circuito innescato da vocaboli come “tirannide” : parole che nella Grecia antica risultano ambivalenti e che, nell’Atene di V e IV secolo a.C., si caricano di valenze inusitate (all’origine il termine è un concetto positivo: indica il grande pacificatore)… A questo tragico corto circuito si ispira il concept di questa stagione. Perché?
Perché la metafora del potere è metafora della vita stessa, è apologo morale che ci obbliga a riflettere sulla precarietà della sorte umana, sulla sua mutevolezza imperscrutabile e spesso irragionevole. Intorno a questa riflessione si aggrovigliano i nodi esistenziali degli eroi – positivi e negativi – della tragedia greca. Le biografie dei tiranni della storia greca si colorano dei tratti topici delle biografie degli eroi del mito: infanzia marginale e predestinazione, segnalate talora da una qualche deformità, fisica e/o morale, matrimonio importante e ascesa sociale, gesta di conquista e attività di fondazione, tracollo del potere e morte eccezionale – in definitiva, squilibrio e disarmonia, che si estrinsecano in un impulso alla contraddizione e all’eccesso. Nel bene e nel male. Ed è così che eroe e antieroe diventano facce della stessa medaglia e della stessa persona, ed è così che nella tragedia greca il tiranno diviene figura titanica nella sua grandezza, il cui prestigio e potere si ritorcono anche, anzi soprattutto, contro se stesso: persino al di là della sua stessa volontà. Il tiranno è infatti costretto alla solitudine e al crimine, e diviene perciò vittima di se stesso. Questo il fil rouge che collega i tre drammi proposti per la stagione 2018 degli spettacoli di Siracusa.
Entrambi, dunque, Edipo ed Eracle, contaminati e precipitati nella più cupa disperazione per le proprie involontarie colpe, riconosceranno nell’amicizia di Teseo – e dunque, fuor di metafora, in Atene – la luce della solidarietà e dell’accoglienza. Sul piano etico, poi, la moderna lezione che se ne ricava è che non già il suicidio (al quale era approdato ad esempio Aiace, incapace di sostenere il peso della propria vergogna), bensì la virile sopportazione del dolore causato dalle proprie colpe, contraddistingue la condotta di un eroe (e ovviamente di un tiranno) incorso nella sventura, e costituisce la più degna conclusione della sua esistenza. Ed è così che l’antico eroe sovrumano muore per rinascere come uomo: questa volta egli riceve, anziché dare, l’aiuto del prossimo, e sopporta le sofferenze dei comuni mortali.